Il diritto di famiglia in Italia nel caso di separazioni con figli è disciplinato da una legge di recente scrittura (legge 54/2006).
Questa legge è nata con l’intento di promuovere la “bigenitorialità”. Ma cosa vuol dire bigenitorialità? Il concetto è espresso in modo chiaro dal primo paragrafo della legge che cita testualmente: “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.”
In sostanza la bigenitorialità viene espressa come il diritto del bambino a continuare ad avere due genitori anche dopo la separazione di questi. Cessa il vincolo matrimoniale o di coppia, ma non cessa il vincolo parentale con il figlio. Si noti che il diritto è espresso come diritto del figlio minore rispetto ai genitori e non come diritto dei genitori rispetto al figlio minore. La legge vuole essere quindi “bambinocentrica” e non “adultocentrica”. L’interesse primario a dover essere tutelato è quello della prole. Nel nome di questo interesse viene data discrezionalità al giudice di valutare caso per caso se sussistono le condizioni affinché questa legge trovi applicazione. E cosa succede nella realtà? Nella maggioranza dei casi la legge non trova applicazione e vengono stilate sentenze che nonostante rechino la dictura “affido condiviso”, se analizzate nel dettaglio per tempi e modi di frequentazione, somigliano maggiormente alla vecchia soluzione monogenitoriale (affido esclusivo ad un genitore ed assegno di mantenimento a carico dell’altro).
Ed ecco che quella che nella legge doveva essere l’eccezione, diventa la regola.
L’affido condiviso, non è nient’altro che un affido esclusivo mascherato. Alcuni l’hanno ribattezzato sarcasticamente “affido con-diviso”.
Nell’affido condiviso viene indicato che il minore viene affidato ad entrambi i genitori, ma poi si definisce un genitore come “collocatario” e l’altro come “non collocatario”.
Cosa è cambiato rispetto alla vecchia legge? Solo la nomenclatura.
La madre è, salvo rare eccezioni, il genitore che più volte viene designato come collocatario. Il padre è il genitore che deve corrispondere l’assegno di mantenimento.
Se ne deduce che in Italia è ancora inculcato il pensiero che la madre debba stare a casa a crescere i figli, mentre il padre debba lavorare e guadagnare. E questo pensiero lo si ritrova nei tribunali. Ma lasciamo perdere questa disparità di trattamento sui sessi e analizziamo l’argomento parlando semplicemente dei due protagonisti: genitore collocatario e genitore non collocatario.
Il genitore collocatario è quello che deve sacrificare il lavoro, perché deve assolvere a maggiori compiti di cura per il figlio. Il genitore non collocatario deve sacrificare la frequentazione quotidiana con il figlio, per dedicarsi maggiormente al lavoro e garantire l’assegno di mantenimento da corrispondere all’altro genitore.
Si crea quindi uno squilibrio tra i due ruoli genitoriali, che con la giusta collaborazione di entrambi potrebbe anche non essere un problema.
Diverso accade quando uno dei due genitori ha propositi vendicativi e/o speculativi nei confronti dell’altro genitore e li antepone a quelli del proprio figlio.
Si aprono due scenari che dipendono da quale dei due genitori assume questo comportamento.
Nel primo scenario il genitore non collocatario si disinteressa completamente del figlio. Tipicamente questo tipo di genitore è quello che scappa. Vede il figlio come un problema economico e cerca modi per limitarlo, spesso riuscendoci. Approfitta della situazione per vivere una “seconda giovinezza”. Dall’altra parte, il genitore collocatario si trova da solo ad assolvere ai compiti di cura con tutti gli inconvenienti che ciò può portare nella normale vita quotidiana (lavoro, malattie, etc…).
Nel secondo scenario il genitore collocatario ostacola la frequentazione del figlio con l’altro genitore. Mentre per gli aspetti economici le mancanze di un genitore sono sempre evidenziabili perché è tutto documentato, differente è il discorso nella disciplina dei rapporti umani. E quando il genitore non collocatario si rivolge alle istituzioni per ricevere aiuto, troppo spesso questo aiuto è tardivo ed inefficace. In merito, la Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo ha di recente condannato l’Italia per violazione del diritto al rispetto dei legami familiari (caso Lombardo). Il genitore collocatario ha di fatto un potere smisurato, che è quello di concedere oppure non concedere la funzione genitoriale all’altro genitore, soprattutto quando il minore è ancora un infante. Ma l’esempio più eclatante è la questione sulla residenza del figlio. Il genitore collocatario che ha ottenuto una “preziosa” opportunità di lavoro in un’altra città ha diritto a trasferirvisi (con il figlio), trascurando che l’altro genitore si troverà a centinaia di chilometri di distanza ed avrà difficoltà ad incontrare il figlio (Cassazione n°13619/2010). Ciò viene ritenuto ammissibile, perché in Italia i genitori collocatari sono normalmente quelli più penalizzati in ambito lavorativo e l’ottenimento di un lavoro è ritenuta una ragione del tutto comprensibile. Anche il solo fatto che il genitore collocatario (senza lavoro) torni alla città della famiglia di origine è un motivo sufficiente per mettere a distanza l’altro genitore dal figlio (Cassazione n°11062/2011). E in effetti, un genitore senza lavoro e con un figlio a carico come potrebbe da solo tirare avanti? Questi discorsi sono tutti comprensibili, se il genitore collocatario è in buona fede… Ma può diventare un’arma per allontanare legalmente il genitore non collocatario dal figlio. Cosa trattiene il genitore collocatario dal farlo? L’idea che per un bambino è importante avere entrambi i genitori. L’idea che il bambino dovrà sopportate viaggi lunghissimi per stare del tempo con l’altro genitore. Ma anche l’aspetto economico, perché l’assegno di mantenimento verrebbe alleggerito (in parte) delle spese che l’altro genitore sosterrebbe per gli spostamenti. E se tutte queste ragioni venissero a mancare? Ma un genitore non collocatario può opporsi a un trasferimento della residenza del figlio? Certamente, ma quello che ottiene è solo una modifica degli accordi di frequentazione e dell’assegno di mantenimento. Di sicuro non vedrà più suo figlio con la stessa frequenza con cui lo vedeva prima. Ma c’è chi direbbe che obbligare un genitore separato a non cambiare residenza senza l’accordo con l’altro, sarebbe una limitazione alla sua libertà personale. Sarebbe incostituzionale. Certo che, analogamente, un genitore non collocatario potrebbe benissimo trasferirsi lontano per una opportunità di lavoro. L’unica differenza è che ci penserà parecchio a farlo, se questo vuol dire allontanarsi dal proprio figlio e ci tiene a mantenerne un rapporto continuativo.
In sostanza come può un giudice capire se un genitore è in buonafede o in malafede? Come può capire se le sue azioni sono dettate da reali necessità oppure sono solo un modo trovato per aggirare le regole e vendicarsi del proprio ex? In entrambi gli scenari a trarne vantaggio è sempre e solo il genitore che si comporta meno da genitore e che è abile in sede di giudizio a non darlo a vedere… E a farne le spese è proprio il figlio minore che si ritrova orfano di un genitore vivo. In questi casi la legge 54/2006 dell’affido condiviso fallisce il proprio scopo e si dimostra essere tutt’altro che una legge “bambinocentrica”, ma l’esatto opposto.
Riforma Affido Condiviso 2014
Unica soluzione è la seguente: pari trattamento, pari diritti e pari obblighi di cura per entrambi i genitori. A costo di vedere i padri fare i “mammi” e le mamme fare le “pape”. Se poi la soluzione non piace, le parti interessate possono trovare soluzioni differenti, ma questo è quello che dovrebbe essere il punto di partenza.
Nelle società moderne esiste da anni l’affido alternato (un esempio è la Svezia). Ricerche sociali hanno constatato che figli ormai trentenni cresciuti con questa formula sono rimasti pienamente soddisfatti della formula ad affido alternato. Nessun figlio può essere plagiato, allontanato, usato per ricattare l’altro genitore.
Inoltre nell’affido alternato vengono risolte anche le diatribe economiche riguardo l’assegno di mantenimento, perché con la permanenza equa non c’è più bisogno di assegno di mantenimento. Se poi esiste una casa coniugale, la residenza del figlio viene stabilita in essa e sono i genitori ad alternarsi. E se ai genitori non piace la soluzione? Nessun problema, possono fare accordi differenti tra loro, ma di sicuro non c’è più possibilità di ricatto sia economico che umano.
Ma cambierà mai la situazione in Italia? Per anni è stata studiata una riforma (ddl 957 riforma affido condiviso) che ponesse rimedio alla non applicazione della legge attuale. Purtroppo tutto si è fermato con il cadere della precedente legislatura. La speranza è che la riforma dell’affido condiviso venga ripresa al più presto e portata avanti, ma quando? Nel 2013? Nel 2014? Mai?
Associazioni favorevoli alla Riforma Affido Condiviso 2014:
Sono un dipendente statale, con due figli (9 anni e 12 anni). Non sono sposato, e la mia ex, lavora come me, dipendente statale. Ad oggi, la mia posizione, derivante dai dispositivi del Tribunale, sono: Affido condiviso con collocazione presso la madre, nella casa di esclusiva proprietà del padre, acquistata prima addirittura di conoscere la madre, un fine settimana alternato e due giorni a settimana dalle 16:00 alle 20:00. Assegno mensile di € 500,00 e assegni familiari a beneficio della madre. Altra sentenza del Tribunale, dove mi impongono le spese della scuola privata al 50%, e cioè circa € 200,00 mensili. Il mio stipendio è di euro 1700,00, uguale a quello della madre, solo che dopo sei anni di questa situazione, la madre ha potuto comperarsi un nuovo appartamento nello stabile vicino a quello dove è ubicato il mio appartamento per un importo di euro 220.000,00, Ma nonostante questo, non intende trasferirsi nella nuova abitazione, perché la legge glielo consente. Il suo obbiettivo in effetti è quello di affittare la casa (acquistata con le agevolazioni prima casa), prendere il mantenimento da parte mia e continuare a sfruttare il mio appartamento. con il portafoglio sempre pieno.
Non credo che questo sia un paese civile, sono indignato.
L’unica cosa che rimane da fare, è mettere in guardia i ragazzi (uomini) che intendono portare avanti un progetto familiare, rispetto alla devastazione di un eventuale fallimento sentimentale.
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